Convivenza: L’effettivo consortium vitae

5 Settembre 2023

21.10.2018

TITOLO PUBBLICATO SU AMERICA OGGI

Anche il sistema normativo europeo impone ed autorizza accertamenti da parte degli organi di pubblica sicurezza al fine di impedire che il matrimonio con un cittadino di uno Stato UE diventi uno strumento per sanare una situazione d’irregolare soggiorno.

Il permesso di soggiorno per motivi familiari è infatti sovente utilizzato non per assicurare l’unità familiare, bensì per ottenere l’ingresso in Italia e trovare un lavoro.

La disciplina del d.lgs. n. 286 del 1998 e ancora meglio quella più favorevole del d.lgs. n. 30 del 2007, richiedono l’effettiva convivenza come elemento imprescindibile del rapporto di coniugio.

E’ pertanto legittimo che anche a fronte di un documento ufficiale che attesti la celebrazione, venga effettuato anche più di un controllo presso l’abitazione dello straniero che ha contratto matrimonio con una cittadina italiana al fine di accertare l’effettiva convivenza.

E’ pur vero che tale controllo non può essere esteso ad oltranza dalla richiesta di permesso di soggiorno, né permanere sine die l’assenza di notizie su tale richiesta. L’ art. 5 del D.lgs. 286/98 prevede infatti che il provvedimento finale di rilascio, rinnovo o conversione del permesso di soggiorno, debba avvenire nei 60 giorni successivi all’istanza. 

La prassi invalsa è tuttavia quella di superare di gran lunga tale termine per ragioni connesse al carico di lavoro ovvero per le stesse ricerche da effettuare. E’vero tuttavia che l’art. 3 della L. 241/90 impone  all’amministrazione di giustificare e motivare tale ritardo. 

In relazione alla tematica della convivenza, la Cass. Civ., Sez. III, con l’Ordinanza del13-04-2018, n. 9178, ha stabilito che per essere dichiarati conviventi, non necessariamente due persone devono obbligatoriamente vivere sotto lo stesso tetto. 

Potrebbero esserci motivi contingenti che impediscono ai coniugi di condividere la stessa abitazione o non avere lo stesso indirizzo di residenza, ragion per cui la possibile quanto frequente assenza di uno dei due soggetti, non necessariamente, dovrebbe essere ostativa al rilascio.

E’ questa una significativa pronuncia dell’evoluzione giurisprudenziale, in ragione delle modifiche della vita sociale.

Se è vero che “necessaria ai fini dell’accertamento dell’esistenza di una convivenza di fatto è l’esternalizzazione della stabilità del legame affettivo, alla quale deve associarsi la condivisione di compiti ed obblighi, non necessariamente tale esternalizzazione può ravvisarsi esclusivamente in presenza della coabitazione”.

E un ritardo non motivato di oltre cinque mesi dalla richiesta costituisce, tra le altre, una grave forma di violazione dei diritti fondamentali e delle garanzie costituzionali (3-16 Cost.).

La nostra Carta Costituzionale (art. 29), ma anche la Corte Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU, art. 8 e 12), così come la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 7 e 9) riconoscere, in via generale, il diritto all’unità familiare.

Un diritto esteso non solo alle relazioni consacrate dal matrimonio, ma anche le unioni di fatto. 

L’analisi della stabile convivenza tra due coniugi uniti da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale, è rimessa alla discrezione della Questura ove risiede il cittadino straniero conformemente alle Direttive della Comunità Europea che autorizza gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere e revocare un diritto conferito in caso di abuso di diritto o di frode, come ad esempio un matrimonio fittizio. 

All’atto pratico, nel caso, uno straniero indiano coniugato con una cittadina italiana, ha trovato lungo ostacolo al rilascio del proprio permesso di soggiorno per motivi familiari.

La Questura non ha valutato correttamente la natura reale del vincolo matrimoniale. Essa si è limitata ad accertare la frequente assenza della moglie all’atto ispettivo, e da influenti, quanto superficiali informazioni assunte in loco.

E se infatti uno dei due coniugi lavorasse in diversa città? E se i vicini di casa non conoscono la coppia perché risulta dimorante da poco in quel quartiere? Possono questi essere indici sintomatici tali da escludere una effettiva convivenza?

Qualsiasi vaglio deve invero tener conto delle peculiarità della situazione prospettata e al di la di qualsiasi standardizzazione. 

Lo straniero non ha gli strumenti per reagire. Malamente esternate le spiegazioni di tal lontananza cade anche in una ingiusta prostrazione, proprio perché un regolare permesso gli inibisce di attendere un’attività lavorativa.

Troppo semplice se venisse data prova dell’assenza continua della moglie (e quindi dell’effettiva convivenza) con l’esibizione di un contratto di lavoro che la costringe altrove. 

Vi sono ovviamente situazioni di lavori saltuari e non regolari. Anzi questa circostanza rende ancora più incerto il rilascio perché la coppia non ha redditi sufficienti.

Mi adopero per superare il vicolo cieco che non può non mancare.

Corroboro con documentazione il sostentamento costante da parte di terzi, certifico i titoli di studio, metto in risalto le pregresse condizioni di origine, allego autocertificazioni di parenti ed amici già regolari sul Territorio.

Insomma, far comprendere come l’Amministrazione debba svolgere una valutazione globale degli elementi forniti. Sono certo che essi siano bastevoli.

Diversamente, persistendo la “sfiducia” della Questura, si dovrà ricorrere al giudice ordinario (ex art 30, co. 6, TUI – ai sensi dell’art. 20 del d.lgs. 1.09.2011 n. 150). 

Tutto ciò comporterà tempo e danaro e una sconfitta per me, perché per superare con buon senso le mancate assunzioni di responsabilità dell’Amministrazione non vi può essere sempre il giudice!

Riferimenti normativi:

– Art. 5, comma 9, del d. lgs. n. 286 del 1998: il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi dell’art.30, comma 1, lett. b), del d. lgs. n. 286 del 1998″

– Riforme introdotte dalla l. n. 76 del 2016 sulle unioni civili e di fatto, consentendo il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, di cui all’art. 30, comma 1, lett. b), del d. lgs. n. 286 del 1998, anche al convivente straniero di cittadino italiano, purché ne ricorrano le condizioni, formali e sostanziali, ora previste dalla stessa l. n. 76 del 2016 (e, in particolare, dall’art. 1, commi 36 e 37

– C.d.S., sez. III, Sent. 19, n. 5040, depositata il 31.10.2017.

– Corte di Cassazione sent. n. 12745 del 23.5. 2013 

– Art. 19, secondo comma lettera c) del d.lgs n. 286 del 1998 e dall’art. 30, comma 1 bis del d.lgs n. 286 del 1998

– Tar Lazio, sez. II- Quater, sent. n. 10684 del 10.10. 2013

– L’attestata convivenza per oltre cinque anni determina il diritto ai sensi dell’art. 14 del d.lgs n. 30 del 2007 l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente (art. 14 d.lgs n. 30 del 2007), salvo che si verifichino le condizioni indicate nell’art. 11 (decesso o partenza del cittadino UE) o il divorzio o l’annullamento del matrimonio (art. 12)

– La normativa Ue ed il provvedimento di attuazione nazionale (d.lgs. n. 30 del 2007) non prevedono che il diritto al soggiorno del coniuge straniero del cittadino Ue (o italiano) sia subordinato al requisito della convivenza (fatte salve le conseguenze dell’accertamento di un matrimonio fittizio o di convenienza)

– È inammissibile il ricorso avverso il silenzio inadempimento sulla richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, poiché sussiste in materia la giurisdizione del g.o. L’art. 30, co. 6, TUI statuisce che contro il diniego di tale tipologia di permesso, l’interessato può proporre opposizione dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, ai sensi dell’art. 20 del d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150.