29.04.2018
TITOLO PUBBLICATO SU AMERICA OGGI: Il diritto al cognome: una formalità da trascrivere……?
Il diritto al cognome quale segno distintivo dell’individuo nelle relazioni sociali, a prescindere dalla sua correttezza, è diritto inviolabile dall’articolo 2 della Costituzione.
Il caso dell’interprete che ha operato la scritturazione di un cognome in modo erroneo che deve poi essere trascritto in altro documento, ha sottratto non poco del mio tempo.
Poco rileva che tale errore sia stato commesso per una svista, per ragioni fonetiche o inesattezze contenute nella documentazione di appoggio. Siamo ovviamente fuori dei casi di falsità ideologica puniti dalla legge penale.
L’inesattezza della trascrizione (nel caso, l’omissione di una K e l’apposizione in sua vece di una H) ha spiegato molteplici conseguenze.
L’ipotesi ha riguardato una cittadina ucraina che alcuni anni or sono aveva acquistato un immobile in Italia. Il Notaio rogante, all’atto di acquisto, identificò la parte con un proprio documento e, in base a questo, ne riportò gli estremi.
Successivamente, ai fini dell’ottenimento della cittadinanza per adozione e nella richiesta documentazione, il traduttore tuttavia asseverava le generalità della parte in maniera difforme rispetto all’atto di nascita originario. In forza di ciò, anche il Decreto del Presidente della Repubblica che ne sanciva il nuovo status, veniva travolto da un cognome inesatto.
Stessa sorte per tutti i documenti successivi: il nuovo atto di nascita formato in Italia, ove l’ufficiale di stato civile aveva successivamente trascritto a margine l’avvenuta adozione, il nuovo codice fiscale, la nuova carta di identità, etc.
A rafforzare quell’errore contribuiva la stessa parte che ormai è solita sottoscriversi con un cognome inesatto, proprio ad evitare disuguaglianze con i documenti ufficiali di cui è in possesso.
Il cognome, pur se erroneamente trascritto, ha d’altro canto e nel tempo, costituito un autonomo segno distintivo della identità personale. Il problema non sembra allora sussistere e negli anni non si è registrata alcuna criticità.
La cittadina ormai è ben radicata nel nostro Paese. Si sposa, e dopo qualche anno ha necessità di vendere l’immobile acquistato.
Nel predisporre una procura a vendere, il Notaio interessato fa tuttavia rilevare come quella discordanza impedirà – rimanendo così gli atti – di stipulare un nuovo contratto, essendo l’acquirente di allora, persona diversa dall’odierno dante causa.
L’espressa menzione nell’atto pubblico che l’acquirente ed oggi venditore sono invece la medesima persona e che la diversità è data da un mero errore di trascrizione, non sembra bastevole per il Notaio.
Si rimanda al Comune di residenza, ovvero al Consolato. Ed invero in una mia precedente esperienza presso un Consolato iraniano, in maniera solenne, in alto ed al centro si certificava l’identità di persona “In nome di Dio” ….
Certamente il Comune ha la possibilità di correggere l’inesattezza di tutti i dati la cui esattezza può essere rilevata da qualsivoglia atto ufficiale. (es. certificato di nascita, di cittadinanza, etc)
Un cortese e scrupoloso Ufficiale di stato civile tuttavia mi fornisce diversi chiarimenti, ma non evade la richiesta e mi rimanda a diverse procedure.
Il Consolato, questa volta, fa anch’esso generico rimando.
Siamo dunque in una fase di stallo. Lo studio si imbatte in correzioni di ordine “amministrativo” dell’atto di stato civile. (art. 98, c. 1), ovvero di ordine “giudiziale”.
L’art. 98 così recita: “l’ufficiale dello stato civile, d’ufficio o su istanza di chiunque ne abbia interesse, corregge gli errori materiali di scrittura in cui egli sia incorso nella redazione degli atti mediante annotazione dandone contestualmente avviso al prefetto, al procuratore della Repubblica del luogo dove è stato registrato l’atto nonché agli interessati”.
Nel caso tuttavia, l’errore non è addebitabile all’ufficiale dello stato civile che ha curato la redazione dell’atto, bensì ad altri soggetti, in primis al traduttore.
A livello amministrativo – mi consta che esigenze di ordine pratico hanno condotto ad un’interpretazione estensiva della norma e quindi anche in tali casi sembrerebbe ammissibile la procedura di cui all’art. 98 OSC.
Il cittadino potrebbe quindi avanzare istanza di rettifica. Così operando dovrebbe poi chiedere la variazione su tutti i documenti identificativi in suo possesso (patente di guida, codice fiscale, carta di identità, etc.)
Il mio pragmatismo mi porta ad insistere per sensibilizzare il Notaio a procedere e menzionare lui stesso nell’atto pubblico che i soggetti risultanti dagli atti è il medesimo. E la discrepanza tra la situazione di fatto e ciò che risulta dall’atto la può accertare avendo prove documentali ufficiali: un atto originario di nascita, quello straniero, tradotto e apostillato, e quello “nuovo”, formato in Italia a seguito di adozione, oltre ovviamente il documento da cui trae origine l’errore.
Egli è un pubblico ufficiale e la sua certificazione ha pari valenza rispetto a quella dell’ufficiale dell’anagrafe, ovvero del preposto ufficio consolare.
Il Notaio non raccoglie il suggerimento, recependo il suggerimento come se lo stesso dovesse rettificare invero un atto non del proprio ufficio.
Se così i fatti il cliente potrebbe allora chiedere al Notaio di rettificare il proprio atto pubblico con un cognome esatto. E’ operazione possibile, ma è atto “nuovo” e nuovi sono i costi.
E se il Notaio prendendo atto dell’intervenuta adozione e di quel cognome acquisito che si antepone a quello originario stipulasse con il primo cognome italiano, si potrebbe superare il problema? D’altro canto anche nell’attuale codice fiscale è riportato un solo cognome.
In altri documenti, tuttavia evinco ancora quel doppio cognome, quindi ancora presente il cognome errato e pertanto credo scontato il diniego da parte del Notaio.
Nelle more e nell’incertezza delle risposte, prediligo ricorrere allora al giudice al fine di ripristinare la giusta corrispondenza tra atto e realtà.
Attraverso un giudizio di accertamento si sentenzierebbe una volta per tutti che “Sokolov” indicato nell’atto di proprietà, ed “Soholov”, indicato in ogni atto successivo, sono la medesima persona. Il fatto poi che si abbia mantenimento nel tempo un cognome sbagliato vale a legittimarne la definitiva acquisizione, stante l’interesse anche economico determinato dalla propria identità.