“Emigrare” dall’Italia per studiare negli USA

22 Agosto 2015

Uno studente italiano terminati gli studi superiori, decide di continuare quelli universitari in USA. É un passo importante, in Italia ancora appannaggio per pochi. Quello studente ritiene di possedere tutti i documenti richiesti dall’Immigration and Naturalization Law per l’ottenimento del visto F-1. La linea guida contenuta on line sul portale dell’Ambasciata USA é d’altro canto chiara.

Ha effettuato il bonifico per la tassa MRV, ha compilato on line la domanda per il visto non immigrante di cui al modello DS-160 e ne ha la ricevuta. Ha con se il modulo I-20 (certificato di idoneità per gli studenti non immigranti inviato dalla scuola), il diploma dell’Istituto scolastico conseguito, i risultati del TOEFL e, ovviamente, un passaporto valido.

Il proprio Istituto di credito, gli rilascia vieppiù un’attestazione nella quale si certifica che la propria madre ha mezzi economici sufficienti per supportare il proprio figlio nella permanenza negli States. Nel sito dedicato vengono “suggeriti” a sostegno della domanda di visto altri documenti che potrebbero essere richiesti. Prenota quindi l’appuntamento presso l’Ambasciata USA della Capitale e successivamente sostiene il colloquio. All’esito dell’istruttoria, tuttavia, una lettera contenente il testo anche in inglese, rigetta la domanda.

Quello che credeva essere un mera formalità, si rivela invece un inaspettato sbarramento che gli avrebbe precluso di attendere il corso universitario che sarebbe cominciato di lì a breve. Quali i motivi? Forse é stato esitante e poco convincente? Troppo diretto di fronte alle domande poste, tra le quali avere una fidanzata americana ad attenderlo? Nella comunicazione, non siglata da alcun responsabile, la succinta motivazione richiama la norma USA per l’immigrazione, codificata al numero 214 (b), ossia non aver provato i “forti legami” con il nostro Paese.

Se non ha provato il radicamento forte in Italia, si paventa quindi che questi possa lasciare definitivamente l’Italia. Ora ci si chiede se possa essere fondato – nel caso – il timore che uno studente possa utilizzare il visto di ingresso per motivi di studio per eludere successivamente le norme sull’ingresso per motivi di lavoro.

Diversamente dal provvedimento adottato ai sensi degli artt. 7-10 bis legge 241/90 da parte delle amministrazioni italiane, così come dalle questure, in forza dei quali gli istanti vengono informati che é in corso una procedura di rigetto che possono contrastare con una memoria difensiva e produzione documentale a supporto, il diniego nel caso é secco, inappellabile. É tuttavia scritto come sia possibile ripresentare la domanda, (e pagare nuovamente la tassa consolare) fornendo documentazione ulteriore giustificativa delle mutate circostanze rispetto a quella originaria.

L’ Ambasciata, a giudizio di chi scrive, ha basato il rischio migratorio dello studente su meri
indizi che dovevano essere invero letti secondo una diversa prospettiva. Lo studente forse ha dato l’impressione che il viaggio fosse mirato ad altro, più che allo studio, riferendo che si sarebbe mantenuto anche autonomamente condividendo le spese e le forze con la propria compagna e grazie alla disponibilità che questa aveva di un alloggio. In un contenzioso, se questi gli elementi a supporto del rigetto, sarebbero stati ritenuti non significativi e frutto di una istruttoria carente.

Ora, l’ingresso in Italia, seguendo l’impianto del Testo Unico sull’immigrazione, (l. n. 286/1998), e tutta la normativa sottesa, ha analoghe procedure. Rinvengo tuttavia precedenti dinnanzi all’Autorità amministrativa, avverso provvedimenti di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno perché non sufficientemente ovvero del tutto immotivati. Una giurisprudenza limitata per alcune tipologie di visti che non si attagliano al caso.

Nell’affrontare la questione ho dovuto esaminare come si potesse supportare la prova della volontà di lasciare gli Stati Uniti al termine del viaggio, ovvero provare i forti legami con il nostro Paese. Certo avere delle proprietà (o meglio comproprietà), una famiglia in Italia, poteva essere bastevole.

D’altro canto uno studente al termine degli studi superiori non ha un impiego, non ha mai presentato una dichiarazione dei redditi, il suo estratto conto non é significativo. Potrebbe essere orfano di entrambe i genitori e non avere alcuna proprietà salvo qualcuno che lo supporta. Ma non per questo si può dire che questi voglia lasciare il Paese per non farvi più ritorno.

Se la prova é data solo dagli elementi di cui sopra, la norma potrebbe essere una vuota previsione, perché lo studente potrebbe al contrario avere molti beni immobili e una famiglia, ma avere seria intenzione di voler vivere e lavorare in USA. Perché allora una previsione ex post così rigida?

Nell’assenza di normativa al riguardo, ho ritenuto opportuno redigere una lettera di referenza,
rivedendo nel giovane le mie passate aspettative. Ne ho rilevato la diretta e pregressa conoscenza della famiglia per questioni ereditarie, la possidenza di beni immobili, e dei congrui mezzi economici oltre che la meritevolezza del ragazzo, orfano di padre ma legato al proprio fratello ed alla madre che ripone speranze nella scelta del proprio figlio anche quale atto di elevazione sociale. Una lettera di buon senso che unita a quella, pur non vincolante, di altro professionista che lo vorrà con se al termine degli studi, ha fatto si che la pratica fosse vista in un’ottica diversa. Quella giusta.

Ora il mio cliente é in America e comincerà il corso. Auguro a questi le migliori fortune in un Paese che rispetto, nonostante l’apparente formalismo, che é invero manifestazione di serietà e concretezza in un campo sempre attuale nel panorama mondiale.

APPROFONDIMENTI
Normativa di riferimento richiamata dal Tar Lazio:
– art. 5 del trattato di Schengen, ratificato dall’Italia con la legge n. 388/93, poi confermato
dall’art. 5, comma 1, lettera c), Reg. CE n. 562/06;
– art. 4, comma 3, d. lgs. n. 286/98;
– art. 5, comma 6, D.P.R. n. 394/99;
– Codice Comunitario dei visti, istituito con il Reg. CE del 13.07.2009, n. 810/2009;
– decisione della Commissione C(2010) 1620 del 19.03.2010 che istituisce il “Manuale per il
trattamento delle domande di visto e la modifica dei visti già rilasciati”, a sua volta modificato
con la decisione di esecuzione C(2011) 5501 del 04.08.2011;
– decreto del Ministero degli Affari Esteri del 11/05/2001, recante la definizione delle tipologie
dei visti d’ingresso e dei requisiti per il loro ottenimento.