29.12.2019
TITOLO PUBBLICATO: Fuori lo straniero? Espulsione dei detenuti non cittadini come misura alternativa alla detenzione.
Tra i diversi temi di impatto sull’opinione pubblica, la tematica della “legge svuotacarceri”, occupa senz’altro un ruolo di certa rilevanza. Lo ha per primo per i penalisti italiani, ma la connotazione ha anche carattere politico per essere l’Italia sanzionata per ben due volte dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo per violazione dell’art. 3 CEDU. (1)
Nelle carceri italiane, poiché una quota consistente dei detenuti é rappresentata da stranieri, il rimpatrio di questi nel Paese di origine potrebbe considerarsi una delle possibili soluzioni atta a ridurre la popolazione carceraria entro i limiti fisiologici.
Più esattamente, (l’art 16 co. 5 TU prevede che) il cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea, irregolarmente presente in Italia, detenuto con pena – o residuo di pena da scontare – inferiore ai due anni (a meno che si tratti di delitti particolarmente gravi), deve essere espulso dal territorio nazionale. (2)
All’atto pratico l’espulsione in luogo della detenzione non è automatica ma avviene molti mesi dopo il decreto del giudice che la dispone. (3) Ciò é dovuto ad una serie di richieste e accertamenti da parte degli Uffici della Questura e quelli della Casa Circondariale, così come dal rilascio del “nulla-osta” per la riammissione da parte del Consolato di provenienza dello straniero. (3a)
In determinate ipotesi, tuttavia, lo straniero potrebbe avere un interesse a rimanere nel nostro Paese perché qui vi ha radicato la propria vita; qui si è ricongiunto con la propria famiglia e dopo anni di permanenza, potrebbe non avere alcun legame con il Paese di provenienza.
L’espulsione sarebbe in questi casi pregiudizievole sia al percorso di risocializzazione intrapreso in carcere, ma prima ancora a quello di integrazione sociale. (4)
Ragioni di ordine familiare, quindi, possono legittimare il detenuto a presentare reclamo avverso il decreto del Magistrato di Sorveglianza che ne ha imposto l’ espulsione come misura alternativa alla detenzione (ai sensi dell’ art. 16 sul testo unico dell’immigrazione).
È il caso dello straniero che abbia vissuto per moltissimi anni in Italia e per oltre cinque anni con i propri figli nati in Italia e pertanto cittadini comunitari. Questa situazione determina (ai sensi dell’art.19 co. 2 lett. c) del Testo Unico sull’immigrazione) una delle condizioni di sua inespellibilità.
Le diverse condanne per reati minori subite da questi e che comportano di sovente lunghe pene dovute all’accumulo delle stesse, non dovrebbero essere causa di rigetto da parte della magistratura di sorveglianza in quanto indici sintomatici di una capacità a delinquere. (5,6,16)
In siffatte ipotesi, dunque, una espulsione che prescinde dai dati dell’osservazione e del trattamento, parrebbe decisamente arbitraria poiché in contrasto sia con i principi costituzionali sia con chi ha concretamente dimostrato di «avere avviato un processo rieducativo e di risocializzazione». (7,8,9,10,11,12,13,14,15)
É quindi quanto mai opportuno operare un concreto bilanciamento degli interessi. Diversamente, il detenuto straniero rimpatriato subirebbe una retrocessione di valori e di competenze acquisite.
Sicuramente una volta espulso, non attenderà dieci anni per poter rientrare in Italia. Accederà in Italia per altre vie pur di ricongiungersi alla propria famiglia.
Ma prima o poi verrà nuovamente tratto in arresto per il suo reingresso illegale e tornerà nuovamente in carcere…(17)
RIFERIMENTI NORMATIVI
1. La legge 10/2014, il cosiddetto “svuota carceri”, ha aumentato i casi in cui si applica l’espulsione come alternativa in caso di pena, anche residua, non superiore ai due anni anche a chi sia stato condannato per un delitto previsto dal TU sull’immigrazione e la condanna non sia per rapina o estorsione aggravate.
1.1 Ricordiamo che per la legge italiana “stranieri” sono tutti i cittadini di Stati che non appartengono all’Unione Europea.
1.2 La sovrarappresentazione degli stranieri nel nostro sistema carcerario non si può imputare a una loro presunta maggiore propensione al crimine, ma è invece influenzata da fattori normativi e sociali, specialmente per chi è in Italia come irregolare (OpenMigration: 25/01/2018)
2. Così il legislatore dava una prima risposta a una condanna dell’Italia pronunciata nel 2009 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione del divieto di trattamenti inumani ex art. 3 CEDU
3. La procedura è da tenere distinta da:
* L’espulsione come misura di sicurezza
* L’espulsione come sanzione sostitutiva della pena
3a) Il Consolato deve accertare l’identità del soggetto che deve essere ammesso. A Roma il Consolato pakistano richiede 21 giorni, prima di rilasciare il nulla osta.
Vi é poi il problema di dover scortare il detenuto da almeno due agenti.
L’Italia sostiene costi altissimi per i rimpatri e per questo è stato più volte chiesto all’Unione Europea di farsi carico delle procedure. L’attività dei consolati presenta problematiche differenti secondo che siano in vigore o no accordi bilaterali con l’Italia.
4. Nelle ipotesi di ricongiungimento familiare (art. 4 co.3 e 5bis Dlgvo 286/98) e di rinnovo del p.s. e altri titoli giustificati dal diritto all’unità familiare, la valutazione relativa alla pericolosità sociale non ha come parametro soltanto l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, ma anche la commissione di reati gravi non comuni che vengono ritenuti indicatori di pericolo per la sicurezza.
5. Art.8 CEDU Ai fini della salvaguardia dell’unità familiare
6. Art. 2, 29, 30 COST. (Interruzione del percorso rieducativo)
7. Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 8, legge n. 848 del 4.8.1955)
8. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 10 dicembre 1948.
9. Legge 26 luglio 1975, n. 354 “Norme sull’Ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”. (O.P.).
10. Legge 10 ottobre 1986, n. 662 (cd legge Gozzini) “Modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”.
11. Legge 27 maggio 1998, n. 165 (cd legge Simeone-Saraceni) “Modifiche all’art. 656 del codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 197,5 n. 354 e successive modificazioni”.
12. Legge 5 dicembre 2005, n. 251 (cd legge ex Cirielli) “Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354 in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione”.
13. Legge n. 193 del 2000 (cd Legge Smuraglia) “Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti”
14. legge n. 40 del 2001 (cd Legge Finocchiaro) “Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori”.
15. D.p.r. n. 230 del 2000 “Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà”.
16. in particolare i condannati per reati di droga, rappresentano un quarto dei reclusi a livello nazionale. In realtà, nel 2006 ricerche del Dipartimento di Giustizia, hanno documentato che molti condannati presentavano un basso livello di pericolosità sociale ma, ciò nonostante, continuano ad essere incarcerati con costi elevati e spreco di risorse logistiche nelle prigioni.
17. É diverso dal reato di ingresso e soggiorno illegale:l’art. 10-bis inserito nel testo unico delle leggi sull’immigrazione dalla legge n. 94/2009 (il c.d.”pacchetto sicurezza“).
Il primo é regolato dall’art. 13 comma 13 del Testo unico.
Allo straniero colpito da provvedimento giudiziale di espulsione è fatto divieto di rientro legale durante un periodo determinato che è di:
a) almeno 5 anni se è espulso a titolo di misura sostitutiva della pena detentiva
inferiore a 2 anni o della condanna per il reato di ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 10 –bis T.U., per un periodo indicato nella sentenza del giudice (art. 16 comma 1 T.U.);
b) 10 anni, se è espulso a titolo di misura alternativa alla detenzione;
c) 10 anni, se è espulso a titolo di misura di sicurezza, salvo che nel decreto di espulsione sia disposto un termine più breve, in ogni caso non inferiore a 5 anni, tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato nel
periodo di permanenza in Italia (art. 13, commi 13, 13-bis, 14 T.U.).
* D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230. Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà. (Art. 35)
* Gli “arresti domiciliari”, in quanto sono una misura cautelare, non vanno confusi con la “detenzione domiciliare”.
* La ratifica dell’arresto in flagranza nonostante il mancato interrogatorio per l’irreperibilità dell’interprete determina un difetto di procedura che dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio.